Guerra e pace, scelte di impatto sullo sviluppo umano, economico ed ecosistemi

Il contesto attuale ci fa ripensare a grandi temi come la pace e la guerra. Martina Pignatti è direttrice della ONG “Un ponte per” che da oltre trent’anni agisce per dare uno spazio alla non violenza nella risoluzione dei conflitti e l’abbiamo invitata ad approfondire le questioni sociali ed economiche che la guerra porta con sé. Ci ha anche dato qualche anticipazione su ciò che discuteremo all’evento #Assisi2022.

Tutti conosciamo la situazione che sta vivendo oggi l’Ucraina. Come community di The Economy of Francesco ci sentiamo particolarmente vicini ai nostri amici ucraini e russi, che stanno lottando per la pace.

 La storia ci sta dimostrando che la NATO, l’Europa continuano a utilizzare la guerra – inviando armi all’Ucraina – come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Vorremmo chiederti, anche sulla base della tua esperienza, se sarebbe stata possibile una risposta non violenta all’attacco russo. E ora, dopo oltre tre mesi, cosa si può fare per mettere fine alla guerra?

M. Pignatti: La risposta non violenta è sempre possibile. Non solo è sempre possibile ma è anche dimostrato che è molto più efficace quando si pone obiettivi di liberazione da regimi dittatoriali e da occupazioni militari, rispetto alla scelta della lotta armata. Questa non è un’affermazione solo morale – è anche un’affermazione morale – ma è soprattutto dovuta allo studio di centinaia di episodi di resistenza non violenta nel secolo scorso. C’è uno studio in particolare, Why civil resistance works – Perché la resistenza non violenta funziona di Erica Chenoweth e Maria J. Stephan, che ha esaminato il grado di successo di azioni non armate nell’ottenere la liberazione e costruzione della democrazia auspicate. In caso di azione non violenta non solo ci sono (molto) più del doppio delle possibilità di raggiungere questi obiettivi, ma ovviamente ci sono molte meno perdite. […]  

Da questo punto di vista è chiaro che ci deve essere una decisione da parte del popolo che subisce l’occupazione o l’attacco. Quindi io credo che non stia a noi dire che cosa è possibile per gli ucraini: sta agli ucraini decidere. Però c’è anche un altro discorso da fare. La comunità internazionale ha un grosso impatto e influenza sulla decisione di Paesi relativamente piccoli e comunque “poco potenti” sullo scacchiere internazionale, come l’Ucraina.  […] La comunità internazionale – perché io non dico agli ucraini cosa avrebbero dovuto fare, io da italiana dico all’Italia cosa avrebbe dovuto fare – avrebbe dovuto costruire gli incentivi perché le due parti tornassero al tavolo negoziale rendendosi conto che la soluzione militare non è l’unica possibile. […] sarebbe stato opportuno costruire un processo di diplomazia anche dal basso che coinvolgesse le chiese e le comunità. Per ora non vediamo cenni di una scelta di questo tipo, purtroppo.

Ci stiamo avvicinando all’evento internazionale The Economy of Francesco che si terrà ad Assisi dal 22 al 24 settembre 2022 e lì tu sarai una delle relatrici. Sarà un’occasione speciale per favorire lo scambio e il dialogo nella nostra comunità, formata da imprenditori, giovani economisti e changemakers che vengono da oltre cento Paesi di cui molti in guerra. 

Saremo nella terra di San Francesco d’Assisi, uomo del Vangelo e della pace. Questa guerra sembra anche il fallimento dell’umanesimo cristiano. Pensi che sia possibile dare un nuovo volto alla profezia cristiana? I Vangeli sono solo un fatto religioso oppure possono essere l’ispirazione di una nuova creatività politica nella risoluzione non-violenta dei conflitti?

M. Pignatti: Assolutamente sì. In generale per fare politica […] e fare politica di pace, ci vuole coraggio, ci vuole una grande speranza che l’umanità possa redimersi dagli errori passati, da scelte fatte per interesse particolare e non per interesse generale. Questa fiducia nell’umanità, nella capacità dell’umanità di costruire un futuro diverso, basato su fiducia, solidarietà e cooperazione tra i popoli, richiede fede. Non necessariamente una fede religiosa ma una grande fiducia nella volontà di costruire unità fra le persone rispetto alle fratture della guerra. Si tratta di fiducia in una prospettiva storica. Ovviamente tanti leader dell’azione non violenta trovano forza nella fede, quindi in questo momento è fondamentale la forza della Chiesa e dei giovani per spingere la politica a scelte diverse. 

Siamo immersi in una continua propaganda bellica, basta pensare a metafore usate molto in questo periodo, come: “Se uno grande e grosso entra in casa e usa violenza, tu come reagisci”? Ci domandiamo: dove sono finite le ragioni del pacifismo e della non violenza?  Due guerre mondiali, i campi di concentramento, Hiroshima non ci hanno insegnato nulla? Siamo tornati indietro di 80 anni?

M. Pignatti:

Sì, la metafora del “cattivo” che ci entra in casa è molto calzante. Tristemente sembra che anche in Europa stiamo adottando la risposta americana devo avere molte armi in casa per cacciare il cattivo. Le ultime stragi nelle scuole americane ci hanno dimostrato cosa significa, in termini di sicurezza collettiva, riempire le case di armi. 

Oggi c’è una grande vulnerabilità psicologica dei nostri ragazzi – e in generale delle persone – che è stata accentuata dalla pandemia. Questa vulnerabilità spinge sempre più persone a cercare la propria sicurezza nel possesso di armi e non nelle relazioni sociali. 

Ma … se una persona mi attacca, ho molte più chance di uscirne vivo se assumo un atteggiamento che non allarma la persona che mi sta attaccando. E questo è evidente anche in guerra: se una persona armata e pericolosa entra in un ospedale di guerra perché sta cercando qualcuno, la cosa migliore da fare è tenersi lontano da quella persona, non avvicinarsi, non farla sentire minacciata. Questo non perché siamo buoni, ma per difendere la vita di tutti, la nostra e degli altri. Questo atteggiamento non violento – che è razionale, è il controllo delle emozioni – che intende interrompere la spirale di violenza, in questo momento sembra sfuggire al senso comune. 

Occorre partire dalle situazioni reali della vita quotidiana e trarre messaggi validi anche per le questioni geopolitiche. Torniamo all’uso delle metafore. Ci sono persone del movimento non-violento, ad esempio, che su Facebook sostengono che il presidente Draghi sta dando dei messaggi educativi pericolosi per i ragazzi, quando – per spiegare la guerra – utilizza la metafora del piccolo che deve essere aiutato per poter rispondere con la violenza alla persona più forte che l’ha attaccato. Ma tutti noi sappiamo che se vediamo un uomo grande e grosso che attacca un ragazzino, la cosa migliore da fare non è lanciargli un coltello perché si difenda, ma piuttosto chiamare la polizia. […] 

Su questi punti dobbiamo impegnarci per rendere evidenti tutti i motivi per cui la pace è un guadagno, anche attraverso scelte di politica economica. In questo modo il raggiungimento degli accordi di pace risulterebbe più vantaggioso per tutti. 

I conflitti drammatici del secolo scorso, ma anche quelli dell’inizio di questo secolo, dovrebbero averci insegnato che purtroppo in guerra i crimini, le stragi, le violazioni dei diritti umani, vengono commessi da tutte le parti in conflitto, non da una parte soltanto. Non c’è mai l’esercito buono, in assoluto! […] “Un ponte per” lavora anche nel nord-est della Siria: lì hanno scelto di avere delle unità militari maschili e femminili che lavorano insieme, anche nei campi di battaglia e a volte le combattenti femminili ci dicono che il loro ruolo è quello di andare nei villaggi insieme agli uomini e controllare che gli uomini del loro esercito non commettano stupri, violenze e abusi. 

La guerra – e tutte le sue degenerazioni – ha gravi implicazioni e questo è evidente nel momento in cui una guerra diventa anche mediatica: è allarmante che i nostri governi e l’opinione pubblica non prendano atto di ciò. Soprattutto è grave e preoccupante che nessuno faccia queste valutazioni prima di dare il via libera all’escalation e al protrarsi di un conflitto. 

Per questo è necessario che in eventi come The Economy of Francesco si discuta di guerra e pace e dell’impatto che queste scelte hanno sullo sviluppo umano, economico, e anche sull’equilibrio dei nostri ecosistemi: la guerra è sempre un grande evento distruttivo di tutto quello che gli uomini, le donne, la natura fanno per costruire e custodire l’ambiente che abitano. 

In Economy of Francesco stiamo cercando di costruire un ponte per l’amicizia sociale dei popoli, su invito di Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti. Cosa ti senti di consigliare ad un giovane economista o imprenditore che vuole concretizzare questa chiamata?

M. Pignatti: Io ho una formazione da economista per cui ho sempre provato, anche quando facevo ricerca, a evidenziare l’utilità – in termini utilitaristici e razionali – della cooperazione. Dobbiamo rendere più evidente alle persone, ai singoli individui e ai gruppi sociali che cooperare conviene a tutti. Conviene fidarsi degli altri, contribuire al bene pubblico, perché se tutti abbandoniamo questa fiducia negli altri allora tutti staremo peggio. 

Evidenziare che l’economia della cooperazione è vantaggiosa è un passo importante per la pace: la cooperazione, il commercio, la libera circolazione delle persone attraverso i confini, consentono alle popolazioni di produrre dei risultati sicuramente migliori. Inoltre in termini di economia pubblica abbiamo la necessità di indirizzare le risorse verso attività che hanno un’utilità sociale e contribuire a un equilibrio tra il sistema economico e il sistema ecologico. 

Occorre una visione di rispetto tra popoli ed etnie, tra uomo e natura. Una visione più olistica del sistema mondo che ci possa rendere non solo più sani e più ricchi ma anche più felici. Io – come persona che si è dedicata anche a livello professionale alla costruzione della pace in zone di conflitto con questa ong – vi dico che lavorare per la pace rende molto felici! 

E questo anche in contesti di grande sofferenza perché si incontrano persone che hanno una grande forza d’animo, una grande speranza, grande capacità di sacrificio. Incontro tanti fiori nel deserto ed è veramente un privilegio. Sono convinta che anche in The Economy of Francesco raccoglierete da tutto il mondo molti fiori: sono felice di unirmi a voi in questo percorso.

Grazie Martina per il tempo che ci hai dedicato. Allora, ti aspettiamo a settembre ad Assisi. Ti va di condividere un saluto a tutta la community di The Economy of Francesco?

M. Pignatti: Ai giovani che stanno lavorando in questo percorso vorrei dire che la cura che stanno mettendo nella preparazione già decreta il successo dell’evento. Grazie per questa serietà, l’evento non sarà solo un evento ma una tappa di un processo: è bello vedervi crescere in questa sfida.