Pinocchio, elogio del cammino e del dono

C’era una volta un pezzo di legno… Cominciano così Le Avventure di Pinocchio: un libro bellissimo… sulla libertà e sulla vita come avventura. Pinocchio impara la vita sulla strada, è un pellegrino, è un camminatore. Sulla strada fa esperienze straordinarie, dove apprende il mestiere del vivere: lì alla fine diventa grande.

Pinocchio è un inno stupendo e tenace alla libertà dei ragazzi e dei giovani, che per non diventare burattini devono correre, andar via di casa, tradendo le aspettative dei genitori e degli adulti, perché un ragazzo per diventare adulto deve deludere gli adulti della sua vita, anche se li amano molto. Pinocchio è la continua lotta tra il ragazzo e il burattino. Pinocchio non dice ai suoi lettori: ‘ragazzi tornate a casa, siate bravi e buoni’; no, dice piuttosto il contrario: ‘restate ragazzi più a lungo possibile, resistete e fuggite dagli adulti che vogliono negare la vostra irriducibile libertà’.

Pinocchio è anche un ragazzo solo: i suoi amici sono animali (e sono stupendi), burattini, Lucignolo, con i quali non fa attività sociali, non svolge con loro azioni collettive. Anche nel Paese dei balocchi gioca da solo. Pinocchio parla invece con merli e lucciole, faine e gatti, grilli e pesci. Forse perché i bambini e i ragazzi sono capaci di dialogare con gli insetti, gli uccelli, gli alberi. È come se nel fagotto con cui arrivano sulla terra ci fossero anche uno sguardo e un udito diversi e più profondi per vedere cose e comprendere linguaggi che poi svaniscono una volta divenuti grandi.

Pinocchio sa anche cooperare con gli animali. Viene trasportato in volo da un colombo, salvato nel mare da un tonno. Impara la buona reciprocità da un cane, il mastino Alidoro: il cane era stato salvato da Pinocchio quando rischiava di affogare, e Alidoro gli svela un segreto prezioso: la legge aurea della reciprocità (“In questo mondo quel ch’è fatto è reso”). E così, quando sarà Pinocchio a rischiare di morire fritto nella padella del ‘pescatore verde’ sarà proprio il cane Alidoro a salvarlo dall’olio bollente, a mettere in pratica la reciprocità: non basta un villaggio per crescere un bambino, ci vuole tutto l’universo con tutte le sue molte creature. Pinocchio è un ragazzo tremendamente solo anche nei momenti decisivi della sua storia, inclusa la sua impiccagione: ‘oh babbo mio, se tu fossi qui’, ma il suo babbo non c’era. E così ci ricorda che i ragazzi sono molto più soli di quanto gli adulti, in genere, credano. Nel mondo di Collodi esistevano i bambini e gli uomini, non c’era una terra di mezzo.

Pinocchio non è più bambino ma non è ancora adulto… ha inventato l’adolescenza, che è l’età delle fughe e delle corse a perdifiato, quando si torna a casa felici ma solo per ripartire subito e ancora più felici. È un ‘figliol prodigo’ che parte e non torna, o che quando torna riparte ancora, in cerca della sua libertà. Pinocchio corre sempre, e a noi gli diciamo: ‘Pinocchio, continua la tua corsa libera’.

Pinocchio è un ragazzo povero e ha sempre fame, cerca sempre cibo, raramente lo trova: “Che mestiere fa tuo padre?”, gli chiede Mangiafoco – “Il povero”, gli rispose Pinocchio. Geppetto lavorava, ma era un povero: lavorare non lo liberava dalla povertà né dalla fame. Non basta lavorare per non essere poveri … Pinocchio poi ha un pessimo rapporto con il denaro, che è all’origine delle pagine disgraziate della sua storia. Tutti i suoi guai iniziano con i soldi. Vende per quattro soldi il suo abbecedario e grazie a questi soldi Pinocchio entra nel teatro dei burattini di Mangiafoco. Questi gli regala altri soldi, cinque zecchini d’oro, e grazie a questi soldi Pinocchio incontrerà il gatto e la volpe: “Noi non lavoriamo per il vile interesse – gli dissero – noi lavoriamo per arricchire gli altri”. E Pinocchio risponde al gatto: “Se tutti i gatti ti somigliassero, fortunati i topi”. Non c’è nulla di più grave di manipolare il linguaggio del dono per ingannare un ragazzo, un giovane. I ‘gatti e le volpi’ sanno che i ragazzi vivono dentro il registro del dono, che è la loro lingua madre, e così usano parole di morte travestite con le parole del dono, ma solo per ingannarli e ucciderli: se vuoi ingannare un giovane usa il linguaggio del dono, ci riuscirai quasi sempre.

Pinocchio poi non lavora, non vuole lavorare. Dopo aver tentato, invano, di raggiungere a nuoto suo papà Geppetto in mezzo al mare, Pinocchio giunge a nuoto nell’Isola delle Api industriose, dove tutti lavorano sempre: nel paese dei balocchi non c’è scuola, solo giochi; in quello delle api industriose non c’è tempo libero, solo lavoro. Due mondi diversamente sbagliati. In quell’isola Pinocchio ha fame, e cerca di procurarsi del cibo: “Non gli restavano che due modi per potersi sdigiunare: o chiedere un po’ di lavoro, o chiedere in elemosina un soldo o un boccon di pane”. Ma “a chiedere l’elemosina si vergognava”, perché Geppetto gli aveva insegnato che “l’elemosina hanno il diritto di chiederla solamente i vecchi e gl’infermi”. Incontra un primo lavoratore… Pinocchio gli si accostò e gli disse sottovoce: “Mi fareste la carità di darmi un soldo, perché mi sento morir dalla fame?” “Te ne do quattro di soldi, rispose l’uomo, a patto che tu m’aiuti a tirare fino a casa questi due carretti di carbone”. Pinocchio scandalizzato risponde: “per vostra regola io non ho fatto mai il somaro”. Pinocchio chiede ‘la carità’, un dono, e l’uomo gli offre un contratto. E Pinocchio non accetta. Incontra poi un muratore: “Vieni con me a portar calcina, e invece d’un soldo, te ne darò cinque». Qui i soldi diventano cinque, ma Pinocchio non accetta i contratti degli uomini, e preferisce chiedere l’elemosina. Pinocchio preferisce l’elemosina al lavoro, preferisce la vergogna al contratto.

Pinocchio alla fine del suo soggiorno sull’isola finirà però per fare un lavoro, quando a passare fu finalmente una donna: Pinocchio le chiede un bicchiere d’acqua, e la donna rispose: «Bevi pure, ragazzo mio!”. Il dialogo con questa donna inizia con un dono. Una donna, che poi si svelerà essere la sua fatina, non chiede a Pinocchio di guadagnarsi l’acqua: gliela dona. I ragazzi hanno diritto all’acqua e al pane perché sono ragazzi, figli dei genitori e di tutti. Dopo aver bevuto l’acqua donata, Pinocchio lavorerà, aiuterà la donna-fatina a portare le brocche d’acqua a casa, e riceverà una ricompensa: il cibo! Quella donna superò lo scambio di equivalenti. I ragazzi imparano la reciprocità se prima sperimentano il dono. Il buon contratto fiorisce dalla gratuità, il lavoro da adulti si impara con il dono da ragazzi, perché è gratuità la madre di ogni contratto e di ogni lavoro. Grazie Pinocchio perché ce lo ricordi da 150 anni, noi quasi sempre ce lo dimentichiamo, e tu continui, tenacemente, a ricordarcelo.

Io sono Pinocchio, ormai mi conoscete. Sono un ragazzo, prima ero un burattino. Ma sono anche Abramo che lasciò la sua terra, sono Gesù, divino emigrante dalla Trinità, sono Francesco, mendicante e povero. E sono uno di voi: un giorno ho iniziato a camminare, poi a correre, e non mi sono fermato più. Correte insieme a me, che prima o poi la terra promessa la raggiungeremo, finalmente insieme.