Economia e Poesia
dalla prefazione di Luigino Bruni a “L’ora del mondo” di Marco Amore,
Samuele Editore, 2024, collana Scilla
Quando diciamo poesia, economia non è la prima parola che ci viene in mente. Eppure .. senza i poeti, l’economia si è abbruttita, è entrata in zone per soli addetti ai lavori, è uscita dal campo visivo degli artisti e lì ha perso contatto con dimensioni fondamentali dell’esistenza. Perché finché un poeta vede, guarda, canta qualcosa – l’amore, il dolore, un figlio – la sta riscattando dal suo destino mortale. La eterizza con i suoi occhi maieutici: il primo nemico di tanatos è il logos, in particolare il logos poetico, che ha la capacità di risorgere la vita.
Il triste giorno in cui i poeti hanno lasciato l’economia – quando è successo? – l’economia si è progressivamente disumanizzata, è diventata sola techné. Giorno dopo giorno si è accontentata del know-how e ha perso il know-why, ha dimenticato lo ‘hau’ (spirito) che abita le cose e le protegge dalla nostra manipolazione totale, uno hau che solo i poeti, i soli veggenti sopravvissuti nel crepuscolo degli dèi, riescono ancora a scorgere o almeno ad udirne i gemiti.
Non troveremo una nuova economia, una economia amica dei poveri e dei bambini, senza poeti che ricomincino a cantare l’economia, che decidano di guardarla con i loro occhi diversi di resurrezione, che scelgano di voler trovare la vita dentro ciò che sembra morto ma è vivo. Un poeta che poetizza su mercati e imprese vale più di cento PNRR, più di dieci leggi finanziarie, perché riscatta l’economia dal regno della quantità e lo introduce in quello (il solo umano) della qualità, dove il solo denaro di una vedova vale più di tutto il tesoro del tempio di Gerusalemme (Mc 12,41-44).